La via percorsa e tracciata dal Signore è una via che cambia il modo di pensare e di incontrare Dio: Gesù ha fatto della strada un luogo teologico, rivelativo di Dio, in quanto sulla strada si incontra l’umanità ferita: poveri, storpi, ciechi. Si entra in contatto con varie forme di povertà materiale e spirituale.
Be’ noi abbiamo un Maestro, che riconosciamo Messia, che si continuamente relazionato con i poveri e che non cessa di ripeterci: “Fate questo in memoria di me” ma anche “ … lo avete fatto a me”.
“Mentre uscivano da Gerico, una gran folla seguiva Gesù. Ed ecco che due ciechi, seduti lungo la strada, sentendo che passava, si misero a gridare: «Signore, abbi pietà di noi, figlio di Davide!». La folla li sgridava perché tacessero; ma essi gridavano ancora più forte: «Signore, figlio di Davide, abbi pietà di noi!». Gesù, fermatosi, li chiamò e disse: «Che volete che io vi faccia?». Gli risposero: «Signore, che i nostri occhi si aprano!». Gesù si commosse, toccò loro gli occhi e subito ricuperarono la vista e lo seguirono”. (Mt 20, 29-34)
Il brano è ambientato fuori da Gerico : questa potrebbe sembrare una notizia di troppo e poi si parla dell’uscita da una città senza prima aver detto dell’entrata .Tale affermazione, forse, ha sullo sfondo la beatitudine “Beati i poveri”.
A Gerico stava gente ricca, facoltosa, da essa i poveri erano esclusi. Ora Gesù incontra i due ciechi fuori dalla città. Sono due persone escluse dal benessere della città ma non, certamente, dalla possibilità di essere “sanati”. Tutto dipende da chi incontreranno sulla loro strada. Ciascuno di noi è anche il frutto dei suoi incontri. Una fortuna dunque per loro, e per noi , incontrare Gesù.
I ciechi sono “due”, quasi a dire che, andando insieme, si sostengono vicendevolmente. Poi Matteo ci dice che “stanno seduti”. Sebbene questo sia un atteggiamento normale per dei ciechi Matteo lo rimarca. L’atteggiamento, la postura più corretta sulla via, a prescindere dalla ferita che si ha, non è l’immobilità ma il cammino. Lungo la via, camminando, si fanno gli incontri e si vive, perché non ci atrofizza e i polmoni respirano meglio
I due ciechi del Vangelo, però, sono dei “furbetti” perché stanno seduti nel posto dal quale passava molta gente e dunque era più probabile ricevere offerte. Questo ci suggerisce l’idea che, a volte, le opportunità bisogna pure crearle.
Inoltre i due ciechi chiamano Gesù Ciechi con l’appellativo “Figlio di Davide”, Gesù ascolta il loro grido, non li corregge, ricordando che non c’è un solo modo di accostarsi a Lui. Gesù accetta che su di Lui ci siano pluralità di vedute. E in questo i poveri sono “terreno” rivelativo e ci insegnano che quando parliamo di Dio il nostro dire non può che essere relativo. Ma se ci osserviamo non possiamo non vedere che molte divisioni tra noi nascono da questioni dottrinali, da modi diversi di sentire. Celebriamo la cena del Signore, annunciamo la sua morte e risurrezione e, intanto, ci dividiamo, di più, ci ammazziamo tra di noi!
Gesù ascolta i due ciechi, che sono sulla via della solidarietà, e si ferma; la folla invece cerca di farli tacere. Forse hanno paura del loro grido. Non sarà che il grido dei poveri spaventa anche noi?
I poveri chiedono misericordia, pietà , chiedono concretezza dell’azione, benevolenza. Non si tratta solo di fare il bene ma di volere bene, di creare sentieri di giustizia, di ascolto.
La folla vuole zittirli ma loro gridano più forte.
E’ significativo che “solo” il grido dei ciechi riesce a fermare il passo di Gesù che va dritto verso Gerusalemme. Del resto Gesù che è colui che è venuto a servire non si lascia prendere dalla grande missione che deve compiere (dare la vita) rifiutando di accogliere la “piccola” opera che quei due gli chiedono (aprire i loro occhi). Gesù sa di andare a morire ma il suo dolore non gli impedisce di prendersi cura del dolore degli altri. Qui c’è una chiara sottolineatura della chiamata ad una santità feriale, quotidiana.
La “grande” opera non lo distoglie dalla “piccola; i “molti” (la folla) non lo distolgono dai pochi (i due ciechi)
Va considerato anche il modo in cui i due poveretti chiedono e attirano l’attenzione di Gesù. Prima di tutto stanno chiedendo un segno che il Signore è lì. Stanno scandagliando le viscere di Dio, stanno facendo l’esperienza del tipo di amore che è capace di offrire. Questo dice a noi di non aver paura di attraversare l’abisso delle viscere del Cristo perchè solo lì abbiamo l’opportunità di gustare e vedere quanto è buono il Signore
I ciechi non chiedono solo di uscire dalla condizione di disagio ma di VEDERE la speranza che per anni hanno portato nel cuore: incontrare Gesù
I poveri, poi, non sempre sanno cosa chiedere: i due ciechi in prima battuta gridano: “Pietà di noi” e solo dopo che Gesù li porta a consapevolezza domandano il dono della vista.
Il grido dei poveri va ascoltato con attenzione, va interpretato: essi hanno bisogno di qualcuno che sappia cogliere quell’armonia che è dentro ciascuno di loro e che che non viene fuori in modo immediato.
In genere sono i ciechi che toccano , qui è invece Gesù stesso che li tocca, che si fa cieco, usa il loro stesso linguaggio: “Non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso assumendo la natura umana”. La postura relazionale di Dio deve diventare la nostra : accoglienza!
Gesù, inoltre, risponde con la concretezza dell’azione ma li rende anche responsabili : “Voi cosa volete?” Li provoca, li conduce a fare chiarezza, li aiuta a crescere, stabilisce un rapporto stabile, li guarda. E da quello sguardo i poveri capiscono di essere accolti.
Dallo sguardo l’altro capisce se lo sto ospitando, se lo sto accogliendo. Quante volte presi dalla “grande missione da compiere” sentiamo l’altro senza fermarci, proseguendo il nostro cammino sperando che la seccatura che ci si è parata accanto spenga al più presto il suo microfono!
I due ciechi chiedono il recupero della vista , dunque domandano “una cura costante” ma, loro stessi ,danno costanza alla cura : subito lo seguirono.
I due guariti si mettono in cammino dietro il Giusto e non sono più esclusi in virtù della loro stessa guarigione
L’ascolto è sempre l’inizio dell’incontro che può essere salvezza
Mentre Gesù si trovava a Betània, in casa di Simone il lebbroso, gli si avvicinò una donna con un vaso di alabastro di olio profumato molto prezioso, e glielo versò sul capo mentre stava a mensa. I discepoli vedendo ciò si sdegnarono e dissero: «Perché questo spreco? Lo si poteva vendere a caro prezzo per darlo ai poveri!». Ma Gesù, accortosene, disse loro: «Perché infastidite questa donna? Essa ha compiuto un'azione buona verso di me. I poveri infatti li avete sempre con voi, me, invece, non sempre mi avete. Versando questo olio sul mio corpo, lo ha fatto in vista della mia sepoltura. In verità vi dico: dovunque sarà predicato questo vangelo, nel mondo intero, sarà detto anche ciò che essa ha fatto, in ricordo di lei».Mt26,13:
L’ affermazione dei discepoli che il versamento dell’olio sia uno spreco non è a vantaggio dei poveri, ma contro di essi, contro la donna.
Qui Gesù sta aggiungendo un’altra indicazione sul modo in cui dobbiamo accostarci al povero. Sta dicendo che bisogna servire i poveri e non servirsi di loro, dare loro oltre l’attenzione anche il rispetto. Sta dicendo che ci sono più poveri di quelli che si vedono. Qui addirittura presenta se stesso come povero dice che quello che la donna sta facendo è per la sua sepoltura.
Anche Gesù “ha bisogno” del profumo di nardo , anche lui ha bisogno di essere amato
Dinanzi ai poveri, tutti noi, siamo sempre inadeguati: dobbiamo riconoscerlo.
I poveri, inoltre, hanno bisogno anche di Dio: ma quali percorsi seguire?
Occorre respirare con questi due polmoni: amore per i poveri cristi e per il Cristo
Molteplici sono, altresì, i modi per essere poveri. Bisogna fare de bene al povero ma anche e soprattutto sentirlo fratello
In questo brano di Matteo, Gesù ci ha detto “I poveri sono sempre con voi” , e noi a questa affermazione dobbiamo ricordare un’altra sua espressione: “Io sono sempre con voi”