«IL MANTRA E LA PREGHIERA DI GESÙ»
di Giorgio Bernardelli
C’è qualcosa che rende arduo ed esigente il viaggio della meditazione. Ci vuole coraggio per distogliere l’attenzione da se stessi. Dimentico delle proprie idee e lo sguardo fisso in avanti, con tutto il cuore, chi medita diviene come l’occhio che vede tutto ma non vede se stesso. È un viaggio che richiede impegno e fede in ciò è al di la di noi, che è più grande di noi. È il viaggio che richiede l’umiltà di smettere di pensare a se stessi (John Main)
Padre Freeman[1], che cosa accomuna e che cosa distingue la meditazione cristiana dalle altre forme religiose di meditazione? «La meditazione è una dimensione spirituale universale. È la ricerca della verità attraverso l'esperienza del silenzio nel cuore. La fede in Gesù Cristo contraddistingue la meditazione cristiana: meditiamo per rendere più profonda la nostra relazione personale con Gesù. Inoltre ci inseriamo nel solco di quella tradizione che parte dalle parole di Gesù stesso e passa attraverso l'esperienza dei Padri del Deserto».
In che senso lei dice che Gesù stesso è stato un maestro di meditazione? «Guardiamo, ad esempio, al Discorso della Montagna: la prima cosa che dice è: vai nella tua stanza più segreta. Invita all'interiorità, alla preghiera del cuore. Inoltre raccomanda di non usare tante parole: il Padre vostro sa di che cosa avete bisogno... Ecco il silenzio e la fiducia: dimensioni tipiche della contemplazione».
Nella meditazione cristiana utilizzate delle brevi frasi evangeliche come dei "mantra". Perché? «In realtà la preghiera fondata sul ripetere poche parole è una tradizione cristiana molto antica. Giovanni Cassiano - maestro di san Benedetto – usava «Dio vieni a salvarmi» (diventata apertura della Liturgia delle ore: partiamo dal suo mantra, una preghiera semplice, come bambini. Ci aiuta ad andare oltre i pensieri e l'immaginazione, per entrare in un'unione più profonda con Dio. Meditata regolarmente il mantra penetra nel cuore, come un sacramento della fede. Non è tanto una tecnica, ma un modo per coltivare quell'unione più profonda con Dio che portava san Paolo a dire: è lo Spirito che prega in me».
Perché questa tradizione - così radicata nel cristianesimo dei primi secoli - è andata spegnendosi nelle nostre comunità? «Il cristianesimo occidentale ha finito per separare pensiero e preghiera: la teologia ha abbandonato i monasteri per diventare disciplina accademica. Questo ha portato la società occidentale a concentrarsi sull'azione, con uno spirito razionalista: la contemplazione della fede è stata lasciata agli esperti: ai monaci, alle suore...Le Chiese d'Oriente, invece, sono rimaste molto più legate alla preghiera insegnata da Gesù. Il Vaticano II ha posto l’enfasi sulla vocazione universale alla santità. È grazie a questo che oggi siamo tornati a insegnare la meditazione anche ai giovani, ai ragazzi, a tutti».
Dunque c'è una riscoperta in atto. «Sì: la società e la cultura stanno cambiando. Il paradosso di oggi è che - con la scoperta della meditazione da parte delle scienze mediche, fisico-psicologiche è che diventa più facile che sia un medico o una psichiatra e non un sacerdote a consigliarti di meditare... Dovremmo interrogarci su questo. Sempre più molta gente cerca nelle discipline contemplative un'esperienza di interiorità, profondità, pace, salvezza interiore. Questo però è avvertito come troppo poco centrale nella missione della Chiesa. Chi ha sete del profondo oggi non guarda al cristianesimo, ma all'Oriente. Insomma: è ora di capire che la dimensione contemplativa non può essere un fatto marginale della vita, un interesse minore. È un'esperienza centrale nella formazione religiosa».
Perché quando si parla del rapporto con le religioni dell'Oriente rispetto a questi temi c'è sempre tanta paura di compromettere la propria identità? «Credo che sia una paura immotivata. Mostra una fede debole che può portare all'ostilità per le altre religioni. L'insegnamento della Chiesa è che noi non rifiutiamo niente di ciò che di vero e santo esiste nelle altre religioni. Credo che la nostra paura si basi sul fatto che non siamo abbastanza in contatto con la radice contemplativa della tradizione cristiana».
Nel 1989 la Congregazione per la dottrina della fede - presieduta dall'allora cardinale Ratzinger - pubblicava la lettera Orationis Formas su «alcuni aspetti della meditazione cristiana». A oltre vent'anni di distanza come guarda a quel testo? «L'idea di fondo resta molto importante: non c’era alcun rifiuto delle spiritualità non cristiane, ma diceva semplicemente che bisogna partire da quella che è la nostra casa. Il punto debole della lettera Orationis Formas, a mio avviso, stava altrove: nel fatto che, parlando di contemplazione cristiana, guardava quasi esclusivamente alla preghiera mentale. Era troppo poco valorizzata la preghiera capace di andare oltre le parole, così importante per le Chiese orientali. Certo, l’approccio centrato sulla mente e quello centrato sul cuore sono entrambi necessari».
Lei parla del silenzio e della meditazione come una via maestra anche per il dialogo interreligioso. Eppure, ogni incontro tra leader religiosi è fatto più che altro di «dichiarazioni comuni». Non le sembra un po' paradossale? «Sono d'accordo. Il punto è proprio qui: senza meditazione il dialogo interreligioso non ha grande influenza e le sue parole non durano. Diventa come un incontro diplomatico. E invece solo l'amicizia spirituale è in grado di trasformare il mondo e di aiutarci ad affrontare insieme i problemi globali. Meditare insieme è il mezzo più potente per far cadere barriere e portare la relazione a un livello più profondo. Quando uomini di religioni diverse vivono il silenzio insieme si crea un clima di fiducia, un'esperienza profonda del mistero di Dio, una capacità di guardare l'altro in un modo differente».
Ad agosto terrete in Brasile l'edizione 2012 del John Main Seminar e lo dedicherete al tema «Spiritualità e ambiente naturale». Insieme a lei come relatori ci saranno Leonardo Boff e frei Betto. «Fa parte della nostra agenda far incontrare tra loro la contemplazione cristiana e sfide del mondo globale. E quella dell'ambiente oggi è una delle più importanti. Penso che la Chiesa dovrebbe e potrebbe fare di più in questo campo. Vogliamo esplorare come le pratiche contemplative, con il loro richiamo all'unità, possono aiutarci ad affrontarla meglio. Quanto a Leonardo Boff e frei Betto penso che siano due voci profetiche che ci sfidano, entrambi fortemente impegnati nella teologia dell'ambiente, ma anche molto sensibili all'elemento della contemplazione. Del resto la contemplazione cristiana non è mai una fuga dai problemi del mondo».
[1] Monaco benedettino, guida della “Comunità mondiale per la meditazione cristiana”, padre Laurence racconta la riscoperta di una tradizione antica, in dialogo con le altre religioni. Alla parola meditazione e il pensiero corre alle religioni dell'Oriente. Lui però parla di Giovanni Cassiano che - pur non conoscendo la parola mantra - pregava anche ripetendo poche parole della Scrittura. Questo radicamento nella tradizione cristiana rende la meditazione una via straordinaria per il dialogo interligioso. Si presenta così p .Laurence Freeman, londinese, monaco benedettino, guida della Comunità mondiale per la meditazione cristiana nata nel 1991, che vede oggi anche tanti laici riunirsi in piccoli gruppi nelle case per vivere insieme questa forma di contemplazione.