Come mai abbiamo così spesso metabolizzato il cristianesimo in chiave esclusivamente negante, privante, espoliante? Per il solito problema: perché siamo calamitati dal nostro ego. Ciò su cui si concentra la nostra attenzione è su quel che facciamo noi, non su quel che fa Dio. Allora compare una narrazione della santità o della Chiesa stessa che è alla fin fine una celebrazione di opere di uomini e donne eccezionali, meravigliosi, particolari. E rendiamo la santità un evento intessuto di qualità umane, non un incontro con la grazia che lascia emergere la potenza di Dio negli uomini e nelle donne. In tal modo il cristianesimo è divenuto sangue, sudore e lacrime, non liberazione e salvezza. Ma il Vangelo di questa domenica consegna un’altra prospettiva: l’uomo che vende tutto per avere il campo con il tesoro dentro e il mercante di perle che lascia tutto per prendere la perla più bella introducono immagini di selezione, quella dei pescatori che buttano via i pesci cattivi e tengono i buoni, e quella del padrone di casa che distingue nel suo deposito le cose vecchie e le cose nuove. La prospettiva è quindi quella del discernimento, della scelta saggia, della parte migliore, della selezione di ciò che veramente vale a discapito di quel che è inferiore.
Il discernimento cristiano quando inizia? Quando iniziamo a conoscere il tesoro. Allora tutto acquisisce il suo reale valore.