Ecco perché, fin dai primi secoli, sono sorte delle correnti ereticali che non potevano accettare questo scandalo. Dio, dicevano, non può essere così! Non può amare l’umanità fino a questo punto; diventare uno di noi, camminare con noi, soffrire con e per noi (questo è ancora uno scandalo maggiore: pagare per noi!). Ed allora, hanno cercato di aggiustare il tiro, negando, ad esempio, la morte di Cristo. Ciò avverrà – ha scritto Ravasi – “a opera di interpretazioni gnostiche che scivoleranno anche nel corano e nella tradizione musulmana: in croce il Figlio di Dio è sostituito da un sosia terreno, un giudeo qualsiasi che affronta la sorte esclusivamente umana del morire. Per il cristianesimo, invece, l’ingresso nel grembo oscuro della morte è necessario, pena la vanificazione dell’incontro tra Dio e l’umanità” [3].
Ecco, il Natale ci ricorda questo amore inaudito di Dio per me, per te, per tutti! Quel Bambino, a braccia aperte, attende solo di essere accolto; non è un intruso, non limita la nostra libertà, tutt’altro! Dice che Dio ci vuole bene fino a questo punto… E chi ama non fa violenza! Il presepe ci ricorda questo amore infinito, che non conosce barriere di razze, popoli o religioni.
Ed ora un pensiero sull’Epifania: il racconto dei Magi si trova solo in Mt 2,1-12. Sui Magi (identità, provenienza, nomi) e sulla stella sono stati scritti fiumi di parole; come sempre, è importante cogliere il messaggio teologico dell’evangelista, che utilizza testi e riferimenti dell’AT per inquadrare il racconto. Si comincia con un testo del profeta Michea (5,1): “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l'ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”. Betlemme era la patria di Davide ed il testo rimanda, quindi, ad uno dei temi più cari a Mt: dimostrare la davidicità di Gesù. Altri testi che stanno sullo sfondo: quello del libro dei Numeri (24,17): “Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele”; quello di Isaia 9,1 (“il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce…); e ancoraIsaia 60,6: “Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Madian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore”.
I Magi rappresentano, prima di tutto, l’universalità della salvezza. Mt non annuncia soltanto un Salvatore, ma piuttosto il Salvatore dei pagani e dei peccatori, dei popoli più lontani. Inoltre, i Magi rappresentano un po’ l’uomo che va alla ricerca della verità, che si lascia interpellare dalla stella, che non si barrica nelle proprie sicurezze, completamente chiuso ad una visione trascendente della vita. Rappresentano anche i «lontani», quelli che non possono accaparrare «diritti» (di razza o di religione) davanti a Dio. È in fondo la storia di ogni uomo, che può aprirsi o chiudersi alle proposte di Dio. E questo vale anche per noi cristiani di oggi, che rischiamo di inaridirci nelle nostre sicurezze, ci sentiamo soddisfatti, non ci mettiamo più in cammino, restringiamo i nostri orizzonti, dimenticando che Dio ha sempre le sue vie che noi non conosciamo. Che Dio può indicare la sua stella anche a chi è nel buio e vive lontano da Lui…
Nel testo di Mt colpisce questo dato statistico: la parola «Erode» e la parola «stella» ricorrono quattro volte. Sembra uno sfondo di una partita: c’è la sfida tra la luce e le tenebre.
Si può seguire Erode, che è il simbolo del potere più feroce, implacabile anche contro i propri figli. Un breve aneddoto. “Tre giorni prima di morire – scrive Ravasi – riesce a far condannare a morte un figlio che teneva prigioniero nel suo palazzo di Gerico, perché questo figlio aveva pensato che il padre fosse morto ed allor a aveva chiesto alle guardie di essere riconosciuto come re. Ma Erode non era morto ed aveva fatto in tempo a farlo uccidere. Questo culto del regnare assoluto era il simbolo di Erode, un vero e proprio mostro del potere. Tanto e vero che Macrobio, storico del V sec., riferisce che Augusto soleva ironizzare su questo personaggio con un gioco di parole in greco: “Nei territori di Erode è molto meglio essere un porco che un figlio”. In greco «porco» si dice uòs e uiòs è figlio. I porci, perché considerati impuri, non venivano ammazzati per essere mangiati, mentre i figli erano sbranati da quest’uomo” [4].
Si può seguire la stella, arrivare davanti alla grotta, inginocchiarsi, adorare, donare…L’incontro con Gesù ha cambiato la vita dei Magi. E così “per un'altra strada fecero ritorno al loro paese”; una strada illuminata non più dai fasti e dagli idoli del potere, ma dall’umiltà e dalla tenerezza di Dio.
Come i Magi, ripartiamo dalla grotta per un’altra strada, quella che la stella-Gesù ci indicherà…