Dopo aver ascoltato il Vangelo di Marco nelle prime due domeniche di Avvento, e il Vangelo di Giovanni domenica scorsa, oggi la liturgia ci propone un brano di Luca, quello dell’Annunciazione.
Al centro della quarta domenica di Avvento, in tutti e tre gli anni del ciclo liturgico, c’è la figura di Maria. Nell’anno «A» l’annuncio a Giuseppe; nell’anno «B» l’annuncio a Maria (il testo di quest’ anno); nell’anno «C» l’annuncio ad Elisabetta. Però è sempre la figura di Maria a dominare la scena.
Commentando questo evento, il compianto padre Silvano Fausti (1940-2015) ha scritto: “L’Angelus e l’Ave Maria fanno dell’annunciazione il racconto della Scrittura più noto e ripetuto. La vita cristiana porta nel suo cuore e ha come principio e come fine l’incarnazione del Verbo. Tutta centrata su questo mistero, è una continua attualizzazione «oggi» del «sì» che ha attratto Dio nel mondo. Maria è figura di ogni credente e della chiesa intera. Ciò che è avvenuto a lei deve accadere a ciascuno e a tutti… La salvezza di ogni uomo è diventare come Maria: dire sì alla proposta d’amore di Dio, dare carne nel suo corpo al suo Verbo eterno, generare nel mondo il Figlio” [1].
Veniamo un po’ al testo; solo qualche nota essenziale. “La vergine si chiamava Maria”, scrive Luca; mentre l’angelo Gabriele – salutandola – le dà un nome nuovo: « κεχαριτωμένη - kekaritoméne» (part. perf. pass.), reso in latino con gratia plena e in italiano con piena di grazia. Andiamo per ordine.
Il saluto è un invito alla gioia (ricordiamo che è uno temi prediletti di Luca). La versione della CEI del 1974 aveva: «Ti saluto, piena di grazia» (1,28). La nuova versione ufficiale della CEI (2009) ha preferito tradurre con “Rallégrati”. Probabilmente c’è un'allusione a Sof 3,14 («Rallegrati, figlia di Sion»). In questa parola risuona il significato primario del vocabolo che è un invito a «gioire», a «rallegrarsi» per la salvezza che Dio sta per compiere.
Ed eccoci al «piena di grazia». Non è facile tradurre questo parola greca, che tra l’altro è un verbo. In italiano abbiamo bisogno di una perifrasi, che consiste nell’usare, anziché un termine unico, un insieme di parole per chiarire meglio. Il biblista Bruno Maggioni, mancato il 29 ottobre scorso, preferiva questa traduzione: “Amata gratuitamente e per sempre da Dio”. E aggiungeva: “È il suo nome profetico, il nome che le assegna Dio e che manifesta il senso profondo della missione che le viene affidata: essere nel mondo il segno dell’amore generoso, gratuito e fedele di Dio. Maria è il luogo in cui l’amore di Dio verso l’uomo si è come concentrato in tutta la sua pienezza. Maria è la prova che Dio ama gratuitamente”.
Maria, invece, dice di sé stessa: “Ecco la serva del Signore” (doule» - 1,38)). La parola «serva» non ci piace molto, facciamo fatica ad accettarla, ci fa difficoltà; qui, però, non ha un senso dispregiativo. Ricordiamo che “nella Bibbia il nome di «servo di Dio» è un titolo di onore. Jahve dà il nome di «mio servo» a colui che chiama a collaborare al suo disegno” [2]. Servo è Mosè; servi sono i patriarchi; servi sono i profeti. Anche Gesù è servo, anzi egli è in mezzo ai suoi discepoli “come colui che serve” (Lc 22,27). Anche gli Atti degli Apostoli hanno applicato a Gesù il titolo di servo (3,13). San Paolo, nella lettera ai Romani si presenta subito, come “servo di Cristo Gesù” (1,1); si tratta del vincolo indissolubile che lo lega al Signore Gesù.
E Maria? - si chiederà qualcuno. Alla fine del secolo scorso, uno studioso tedesco elencava una sessantina di spiegazioni del nome Maria. Il significato naturalmente varia a seconda della provenienza della lingua (aramaico, egiziano, semitico comune). Qualche anno fa ho fatto una piccola ricerca. Curiosi, vero? Se qualcuno desidera questa piccolo studio (tre pagine), deve semplicemente richiederlo.
Compito della settimana: Bruno Maggioni, il biblista mancato il 29 ottobre scorso, ha scritto che nei due nomi - piena di grazia e serva – “è racchiuso tutto il progetto di Dio, tutta l’esistenza cristiana. Tutto ciò che sei e che hai è dono di Dio (grazia), di conseguenza tutto ciò che sei e che hai deve farsi dono (servizio). La chiamata di Dio è stata da Maria accolta e vissuta secondo questo schema semplicissimo: grazia e servizio”.
[1] S. FAUSTI, Una comunità legge il Vangelo di Luca, EDB, Bologna 1997, pp. 29-30. Padre Silvano è nipote di padre Giovanni Fausti, anch’egli gesuita, condannato a morte in Albania il 22 febbraio 1946, insieme ad un altro sacerdote e due seminaristi e fucilato il 4 marzo 1946, a Scutari. È stato beatificato il 5 novembre 2016 nella piazza davanti alla cattedrale di Santo Stefano, a Scutari, assieme ad altri 37 martiri.
[2] LÉON-DUFOUR, Dizionario di Teologia Biblica, Marietti, 1971, col. 1191.