Certo, alla Parola che si manifesta dovranno poi corrispondere le nostre parole di gratitudine, di adorazione, di supplica... ma prima c’è il silenzio.
Possiamo anzi dire che la capacità di vivere un po’ del silenzio interiore connota il vero credente.
L’uomo che ha estromesso dai suoi pensieri il Dio vivo che di sé riempie ogni spazio, non può sopportare il silenzio. Per lui il silenzio è il segno terrificante del vuoto.
L’uomo «nuovo» – cui la fede ha dato un occhio penetrante e un cuore capace di amare l’Invisibile – sa che il vuoto non c’è e che il niente è eternamente vinto dalla divina Infinità...
Perciò l’uomo nuovo aspira ad avere per sé qualche spazio immune da ogni frastuono alienante, dove sia possibile tendere l’orecchio e percepire qualcosa della festa eterna e della voce del Padre.
Nessuno fraintenda, però: l’uomo «vecchio», che ha paura del silenzio, e l’uomo «nuovo» solitamente convivono, con proporzioni diverse, in ciascuno di noi.
Ciascuno di noi è esteriormente aggredito da orde di parole, di suoni, di clamori, che assordano il nostro giorno e perfino la nostra notte; ciascuno è interiormente insidiato dal multiloquio mondano che con mille futilità ci distrae e ci disperde.
In questo chiasso, l’uomo nuovo che è in noi deve lottare per assicurare al ciclo della sua anima quel prodigio di «un silenzio per circa mezz’ora» di cui parla l’Apocalisse (8,1); che sia un silenzio vero, colmo della Presenza, risonante della Parola, teso all’ascolto, aperto alla comunione...”.
(da “La dimensione contemplativa della vita", Carlo Maria Martini)
Buona Settimana Santa, così!
Rosita