Laici alla frontiera della nuova evangelizzazione
LETTURE BIBLICHE
- Salmo 99 Buono è il Signore, eterna la sua misericordia!
- Matteo 14,13-21 La moltiplicazione dei pani e dei pesci.
IL SIGNORE E' BUONO!
La nostra riflessione intende avere l'impronta di un ritiro, anche se breve, di un "a tu per tu con il Signore", per andare alle ragioni della nostra fede e del nostro impegno di cristiani.
La prerogativa più importante del Signore è la bontà, la misericordia e, durante questo piccolo spazio di tempo, vogliamo metterci davanti alla bontà del Signore per cogliere il "cuore" della nostra vita di cristiani, a partire proprio da questo atto interiore: riconoscere che il Signore è buono con noi e, dunque, sentirci responsabili, impegnati, coinvolti a trasmettere questa bontà del Signore.
La riflessione sull'impegno laicale diventa comprensibile, tocca la nostra vita, se ci mettiamo davanti a questa realtà: il Signore è "buono"! Il Signore mi vuole bene. Il Signore vuole bene al mondo e a tutti i suoi figli.
Abbiamo ascoltato il vangelo di Matteo. Un gruppetto di discepoli già stava col Signore proprio perché aveva compreso che era un "maestro buono", che "faceva bene tutte le cose", che aveva parole buone per tutti, che era venuto per instaurare un regno di verità, di giustizia, di amore. Era questo che li teneva insieme, dimentichi di tutto, pronti a tutto.
Osserviamo come in questo episodio evangelico, il Signore Gesù coinvolge, provoca i suoi discepoli a diventare, come Lui e con Lui, ministri di bene. C'era una necessità: la gente aveva bisogno di Gesù, lo aveva seguito, ed ora aveva bisogno di pane. Ai discepoli che pregano il Signore perché lasciasse andare quella folla, perché loro non potevano farci niente; e - anche - ai discepoli che lo pregano perché faccia Lui, risolva Lui il problema... il Signore risponde: "Fate voi!". Li chiama a portare quello che potevano. Avevano 5 pani e 2 pesci: erano una realtà di miseria per tutta quella folla, erano il segno della disperazione in quella situazione: cosa possiamo farci con 5 pani e due pesci? Sono un niente. Il Signore valorizza questo poco e lo rende strumento di abbondanza per i tanti.
UN MONDO DA CONSACRARE
Dobbiamo rifarci a pagine del vangelo come questa quando guardiamo al nostro apostolato, al nostro impegno cristiano. Non è un "volontariato" fondato sulla naturale solidarietà umana; non è una forma di esibizione di sé e delle proprie risorse: mi sento qualcuno, faccio del bene...
Occorre andare a pagine come questa per trovare la sorgente della perseveranza nel nostro impegno, specialmente quando si va incontro a delusioni, stanchezze. L'impegno del cristiano è una esperienza di Dio.
Anche Maria, l'"immacolata", la "consacrata" per il Regno, la "tutta donata", figura a noi cara, ci porta dentro a questa realtà di persone in intimità col Signore, di persone consacrate e donate. Maria è stata consacrata fin dal concepimento; noi siamo consacrati dal battesimo, con il battesimo; questa consacrazione poi è confermata con la cresima e con le tante nostre decisioni lungo il cammino della vita.
"Consacrato": l'uomo, dunque, non nasce subito tutto di Dio. "Consacrazione del mondo": vuol dire che questo nostro mondo, che è sacro per la creazione, perché Dio ha creato tutto buono e tutto suo, questo mondo che è "sacro" per natura, può essere sconsacrato dal peccato, dall'uomo che dice di "no" a Dio. In realtà, questo mondo che è fatto per essere casa della famiglia di Dio, casa sacra, porta tanti segni di sconsacrazione, di divisione da Dio, di profanazione.
Gesù è venuto per riconsacrare il mondo al Padre, per ridonarlo al Padre, per mettere dentro quel fermento di santità, di figliolanza che avrebbe reso l'uomo sacro, figlio di Dio, libero di essere quello che è: figlio di Dio. "Tutto è vostro, voi siete di Cristo, Cristo è di Dio" (1Cor 3,23).
E' l'opera di salvezza realizzata da Gesù Cristo e da lui lasciata come compito alla Chiesa e ai suoi discepoli: "andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura" (Mc 16,15), "ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" (Mt 28,19).
Gesù ha lasciato il compito dell'evangelizzazione, di portare la buona notizia e di portare la vita nuova a tutte le genti, in tutti i tempi. Non stanchiamoci mai di riandare a queste realtà per comprendere il perché siamo Chiesa, coinvolti nella missione della Chiesa, il perché siamo attenti custodi e testimoni della nostra fede. E' proprio perché vogliamo portare questo buon annuncio, la vita nuova che ci viene data dal dono del suo Spirito.
"Il numero di coloro che ignorano Cristo e non fanno parte della Chiesa è in continuo aumento, anzi dalla fine del Concilio è quasi raddoppiato. Per questa umanità immensa, amata dal Padre che per essa ha inviato il suo Figlio, è evidente l'urgenza della missione" (Redemptoris missio, 3).
UNA NUOVA EVANGELIZZAZIONE
La Chiesa, oggi, sta vivendo una parola nuova e antica della sua missione. Si parla di "nuova evangelizzazione": è il programma lanciato anche dai vescovi italiani per questo decennio verso il 2000. E c'è bisogno di una nuova evangelizzazione perché il mondo, oggi - anche il nostro mondo italiano, di antica fede, di antica tradizione italiana -, è un mondo che non solo non vive più il Vangelo nelle sue realtà ordinarie, ma a volte neppure più conosce il Vangelo.
A volte è necessario proprio cominciare dal "segno di croce", dal dire "Dio è il Padre nostro", "Gesù, il Figlio di Dio, è morto e risorto per noi". Ciò non deve meravigliare o creare sfiducia. A volte bisogna anche andare oltre la superficie di "buone abitudini cristiane" proprio per portare quell'annuncio, quei motivi di vita cristiana che sono il fondamento, i presupposti delle buone abitudini e dei riti e devozioni dei quali poi, spesso si sono perse le ragioni. Occorre allora una vera evangelizzazione sia per chi è lontano dal Signore e dalla Chiesa, ma anche per chi vive la propria fede senza un rapporto vivo con il Cristo, senza un rapporto personale nello Spirito, ma solo legato, a volte, a delle tradizioni.
Oggi c'è veramente tanto bisogno di evangelizzazione. Questo nostro mondo sta diventando sempre più un mondo "senza il Padre che è nei cieli", e sta diventando sempre più un mondo in cui si è "tanto poco fratelli qui in terra". Ed ecco, allora, il nostro impegno a vivere la nostra figliolanza con Dio, i nostri rapporti di preghiera, di carità, di vita nella Chiesa. E' tanto richiesto oggi questo impegno perché il nostro rapporto col Signore diventi il dono agli altri.
Il mondo oggi porta tanti segni dell'uomo solo, e dell'uomo senza Dio. Don Orione diceva: "fa spavento l'uomo senza Dio". E spaventosa una società senza Dio.
"Nel mondo moderno c'è la tendenza a ridurre l'uomo alla sola dimensione orizzontale. Ma che cosa diventa l'uomo senza l'apertura verso l'Assoluto? La risposta sta nell'esperienza di ogni uomo, ma è anche scritta nella storia dell'umanità col sangue versato in nome di ideologie e regimi politici che hanno voluto costruire una 'umanità nuova' senza Dio" (Redem¬ptoris missio, 8).
Nella cultura, nelle abitudini, nella mentalità che tutti noi respiriamo e condividiamo, si vive la realtà, la cultura dell'individualismo dell'uomo staccato da Dio e, spesso, inevitabilmente, staccato dai fratelli.
"Io sono mio"... è lo slogan della nostra cultura, la legge pratica del nostro vivere oggi. Non solo non sono di Dio, ma neppure sono degli altri; perciò al massimo potremo metterci d'accordo a volte per necessità, più spesso per paura, per sopraffazione. Mentre sappiamo che nel Vangelo, nell'insegnamento della Chiesa, e anche nella preghiera, i credenti proclamamo: "noi siamo tuoi" (Salmo 99).
Queste realtà interrogano la nostra responsabilità di cristiani. Don Orione era ferito e appassionato dalla visione dell'umanità abbandonata a se stessa, senza Dio, e, proprio perché "santo", avvertiva in modo fortissimo il progetto cristiano: "Instaurare omnia in Christo" (Ef. 1,10).
"I popoli sono stanchi, sono disillusi; sentono che tutta è vana, tutta è vuota la vita senza Dio" (Lettere II, p.216). "Senza Cristo tutto si abbassa, tutto si offusca, tutto si spezza: il lavoro, la civiltà, la libertà, la grandezza, la gloria del passato, tutto va distrutto, tutto muore!" (Scrit¬ti, 53-9). "Instaurare omnia in Christo: è necessario fare cristiano l'uomo e il popolo, è necessaria una restaurazione cristiana e sociale dell'umanità" (Scritti, 57-122).
"Instaurare omnia in Christo": questa unità in Cristo è un dono; ci è stato dato nella incarnazione di Cristo. Il regno di Dio è un dono, è già in mezzo a noi, è già iniziato; è come un seme, come un lievito che in modo inarrestabile porta i suoi frutti. E' un dono, ma è anche un impegno per ciascuno di noi.
Questo impegno lo professiamo ogni volta che diciamo il "Padre nostro". "Sia santificato il Tuo nome", che significa sia riconosciuto il tuo nome e cioè: che tu sia riconosciuto come Padre. "Venga il Tuo regno", cioè: che il mondo viva nella tua unità, in una comunione di fratelli e figli dello stesso Padre; "Sia fatta la tua volontà", cioè: si realizzi il tuo piano di amore.
LA NUOVA FRONTIERA DELLA CHIESA, IL MONDO
Questa è la prospettiva; questa è la nostra vita cristiana. E su questa prospettiva si colloca il nostro discorso: la nuova frontiera della Chiesa è il mondo.
Don Orione, tra le grazie della sua prima Messa chiese "di non essere il prete delle anime pie, già nell'ovile, ma di quelle che erano lontane dall'ovile" (Pronzato, p.83). Egli mantenne sempre vivo questo impulso apostolico e lo comunicò ai suoi di Congregazione.
"Dobbiamo essere santi, ma farci tali santi che la nostra santità non appartenga solo al culto dei fedeli, né stia solo nella Chiesa, ma trascenda e getti nella società tanto splendore di luce, tanta vita di amore di Dio e degli uomini da essere, più che i santi della Chiesa, i santi del popolo e della salute sociale" (In cammino con Don Orione. Lettere, p. 325). "Avanti, dunque! Non si potrà far tutto in un giorno, ma non bisogna morire né in casa, né in sacrestia: fuori di sacrestia! Non perdere d'occhio mai la Chiesa, né la sacrestia, anzi il cuore deve essere là, la vita là, là dove è l'Ostia; ma, con le debite cautele, bisogna che vi buttiate ad un lavoro che non sia più solo il lavoro che fate in Chiesa" (Lettere II, p.77).
Oggi, la nuova frontiera della missione della Chiesa è il mondo, intendendo per mondo quella parte grandissima di umanità che non conosce il Padre, Dio; quella parte di umanità che vive come se Dio non ci fosse, che non è consacrata a Dio.
L'impegno dei laici, tanto rilanciato dalla Chiesa in questi ultimi tempi, si pone ancor più per questa situazione, nuova, anche per noi in Italia. Prima eravamo in una situazione di "cristianità" condivisa da tutti, vissuta con maggiore o minore fedeltà, ma secondo quei valori e costumi che vengono dalla ragione confermata dal Vangelo. Oggi, invece, si è in una situazione nuova, proprio come quella descritta nella parabola del buon seme e della zizzania (Mt 13,25 ss). Il mondo è confuso: realtà di santità, di bontà, di giustizia si trovano mescolate con le realtà di violenza, di falsità, di menzogna, di ingiustizia, di bassi egoismi.
Lo sguardo sul mondo porta il credente ad un certo smarrimento. Vien da dire: ma il regno delle tenebre è più potente del regno della luce?
"Se si guarda in superficie il mondo odierno, si è colpiti da non pochi fatti negativi, che possono indurre al pessimismo. Ma è, questo, un sentimento ingiustificato: noi abbiamo fede in Dio Padre e Signore, nella sua bontà e misericordia. La speranza cristiana ci sostiene nell'impegnarci a fondo per la nuova evangelizzazione e per la missione universale, facendoci pregare come Gesù ci ha insegnato: 'Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra'" (Mt 6,10). Non possiamo restarcene tranquilli, pensando ai milioni di nostri fratelli e sorelle, anch'essi redenti dal sangue di Cristo, che vivono ignari dell'amore di Dio. Per il singolo credente, come per l'intera Chiesa, la causa missionaria deve essere la prima, perché riguarda il destino eterno degli uomini e risponde al disegno misterioso e misericordioso di Dio" (Redemptoris missio, 86).
C'è tanto bisogno che la Chiesa, i cristiani, arrivino lì, a contatto con queste realtà del mondo che magari bestemmiano Dio, ma che hanno bisogno di Dio; persone e situazioni che vivono a volte un'ingiustizia superba, un'ingiustizia egoistica, ma che bisogna liberare, aprire al Vangelo e alla carità.
"I settori di presenza e di azione missionaria dei laici sono molto ampi. Il 'primo campo' è il mondo vasto e complicato della politica, della realtà sociale, dell'economia..." (Redemptoris missio, n.72).
La Chiesa non può vivere solo delle sue realtà parrocchiali, di una organizzazione "per chi c'è", ma deve guardare fuori "a chi non c'è", non deve guardare solo a se stessa ma deve guardare al mondo. Oggi guardare al mondo e alla missione non vuol dire più solo guardare a paesi lontani, ma pensare, forse, ad alcuni dei propri familiari, al proprio paese, alla propria scuola, al proprio mondo di lavoro. In questi ambienti, chi arriva? Non certo il sacerdote, non certo le iniziative di catechismo e neppure le iniziative di carità e di solidarietà della parrocchia o delle organizzazioni religiose. Chi arriva a queste frontiere che non sono più "lontane", ma "dentro" le nostre case, nei nostri ambienti di lavoro?
La Chiesa oggi è cosciente di questa nuova situazione e sta chiedendo ai cristiani di passare da una visione del "Dio-per-me", o anche di "Chiesa-per-me", ad una posizione attiva, di benevolenza, dell'"io-per-Dio", dell'"io-per-la Chiesa". Sarà proprio da questa simpatia, da questa comunione con Dio e con la Chiesa che nascerà la forza, la gioia della testimonianza dell'"io-per-il mondo".
Quindi: non cristiani in atteggiamento timoroso o in ritirata per salvaguardare la propria fede; ci è chiesto un atteggiamento di fortezza, attinto proprio dall'intimità con Dio, dall'unione con la Chiesa, daportare come buona novella, come evangelizzazione.
Il cardinale Ratzinger ha fatto un bellissimo intervento al Sinodo dei Vescovi sull'evangelizzazione in Europa.
"Forse dobbiamo anche confessare che la stessa Chiesa, oggi, talvolta, parla troppo di sé; troppo tratta di sé, della propria struttura da rinnovare, cosicché l'annuncio del Dio vivente, il quale ci dà la vita e la via, non appare in essa e da essa sufficientemente illuminato. Possiamo qui applicare la parola del Signore circa l'occhio, che è la lucerna del corpo, dal quale dipende che tutto il corpo sia luminoso oppure tenebroso (Mt 6,22).
La Chiesa è stata chiamata ad essere l'occhio nel corpo dell'umanità attraverso il quale la luce divina è vista ed entra nel mondo. L'occhio che vuole guardare se stesso è cieco. La Chiesa non è stata creata per se stessa, ma esiste, affinché sia occhio, attraverso il quale la luce di Dio viene a noi; affinché sia lingua che parla di Dio.
Vale anche per la Chiesa, che 'chi cerca solo se stesso si perde'; la Chiesa trova se stessa, se chiama gli uomini al regno di Dio, avvicinandoli al Dio vivente".
LAICI ALLA FRONTIERA
Noi cristiani abbiamo "parole belle " (esperienze), vere, importantissime, che servono alla nostra società. Abbiamo dentro parole che servono, parole di salvezza, di vita eterna, ma a volte, per timore, per timidezza, o per altro, non le pronunciamo. Abbiamo noi lo sguardo, l'esperienza di chi ha visto cose belle? Ogni cristiano, se ha incontrato il Signore, può dire "ho visto". Orbene, quest'occhio è fatto per vedere e perché il mondo veda queste cose. Anche per la Chiesa vale il "chi cerca solo se stesso, si perde".
Chi ha, oggi, questa passione per il Signore e la passione per gli uomini sente che bisogna uscire dallo steccato, "uscire di sacrestia". E dove è la frontiera, oltre la sacrestia? E' là dove arriva il laico!
La Chiesa guarda fuori, incontra e parla non solo dal pulpito, o nelle sue scuole, ospedali, istituzioni di carità, ecc.; parla con la vita e la testimonianza discreta, a volte anche silenziosa, là nell'ambiente di lavoro, nella famiglia, nelle relazioni, là dove i cristiani vivono.
Perché oggi la Chiesa sente molto la dimensione laicale di popolo di Dio? Probabilmente anche per questa urgenza: sa che non arriverà a portare il suo buon annuncio, a portare la "vita nuova" solo con le attività e le istituzioni ecclesiastiche, ma occorre diffondere il lievito, il sale "dentro" le realtà mondane. Questo è l'impegno nel mondo, dal di dentro, dei laici e "da laici".
Naturalmente il fondamento di un tale impegno sta nel fatto che ogni cristiano, con il battesimo e la cresima, è costituito come annunciatore e profeta di Dio. Non occorre che arrivino deleghe o incarichi di missione, di evangelizzazione. Basta il "certificato di battesimo" e saper dire il "Padre nostro" fino in fondo per essere "abilitati". Oggi questa diventa un urgenza.
"La missione permanente di portare il Vangelo a quanti non conoscono Cristo redentore dell'uomo... è missione di tutto il popolo di Dio, si esplica in svariate forme, è compito di tutti i fedeli" (Redem¬ptoris missio, 71).
Laici alla frontiera: sono l'ala avanzata della vita della Chiesa nel mondo.
"Già Pio XII diceva: 'I fedeli, e più precisamente i laici, si trovano nella linea più avanzata della vita della Chiesa; per loro la Chiesa è il principio vitale della società umana. Perciò essi, specialmente essi, debbono avere una sempre più chiara consapevolezza, non soltanto di appartenere alla Chiesa, ma di essere la Chiesa, vale a dire la comunità dei fedeli sulla terra sotto la guida del capo comune, il Papa, e dei Vescovi in comunione con lui. Essi sono la Chiesa...'" (Christifide¬les laici, 9).
I laici portano Cristo e la Chiesa nel tessuto della vita del mondo. Oggi c'è il rischio, e anche la volontà più o meno cosciente di relegare la Chiesa in sacrestia: che non si impicci delle cose di questo mondo; che pensi al suo Dio e faccia i suoi riti in Chiesa, ma che non contesti la società. La società occidentale, con i suoi "potenti di questo mondo" e con i suoi prepotenti meccanismi di mentalità, emargi¬na il Papa, i Vescovi e ogni cristiano che tenti di portare la fede fuori di sacrestia, per farne legge di vita.
E' molto difficile oggi, con le sole parole o le sole prediche di "valori" influire sulle strutture, sui costumi sociali, sulle ingiustizie e sulle strutture di peccato. Per evitare di essere portati e chiusi in sacrestia, ci vuole la verità della vita ancorata nell'impegno personale e nell'esperienza comunitaria di Chiesa. Forti nella unità in Cristo, nella Chiesa, non si deve poi restare chiusi. Il sale si "scioglie": siamo cristiani "sciolti" nel nostro ambiente? Dobbiamo aprire le saliere. Il lievito va diffuso.
"Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: 'Andate anche voi nella mia vigna' (Mt 20,3-4). Andate anche voi. La chiamata non riguarda soltanto i pastori, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, ma si estende a tutti: anche i fedeli laici sono personalmente chiamati dal Signore, dal quale ricevono una missione per la Chiesa e per il mondo. Lo ricorda San Gregorio Magno che, predicando al popolo, così commenta la parabola degli operai della vigna: 'Guardate al vostro modo di vivere, fratelli carissimi, e verificate se siete già operai del Signore. Ciascuno valuti quello che fa e consideri se lavora nella vigna del Signore'" (Christifideles laici, 2).
Siamo pronti ad accettare questo impegno e croce di essere "operai" e testimoni di Cristo?
Forse neppure ci rendiamo conto di quanto sia prezio¬sa la nostra fede. Forse, ne abbiamo un segno il giorno in cui vediamo la vita di qualche persona "salvarsi" per la fede; quando la vediamo operante nelle persone - piano piano, certamente, con la fatica del lievito e del seme -, quando constatiamo a quali novità porta la grazia, ... allora si rafforza la nostra fede e si rafforza il nostro essere "Chiesa militante".
Laici alla frontiera: come?
... CON LA SANTITA'
"La santità deve dirsi un presupposto fondamentale e una condizione del tutto insostituibile perché si compia la missione della salvezza della Chiesa" (Christifideles laici, 90).
Evidentemente, per prima cosa, per essere alla frontiera bisogna essere ben equipaggiati, forti. Dunque, laici alla frontiera con la santità, senza mai aver paura o pudore di questa parola. Santità vuol dire "stare con chi è Santo", essere col Signore; significa vita di grazia, unione con la propria comunità parrocchiale, preghiera, sacramenti; significa vita di fede!
"Fede che fa della vita un apostolato fervido in favore dei miseri, degli oppressi, com'è tutta la vita e il Vangelo di Cristo Gesù... quella fede divina, pratica e sociale del Vangelo, che dà al popolo la vita di Dio e anche il pane. Se vogliamo oggi lavorare utilmente al ritorno del secolo verso la luce e la civiltà, al rinnovamento della vita pubblica e privata, è necessario che la fede risusciti in noi e ci risvegli da questo sonno 'che poco è più che morte'. E' necessario una grande rinascenza di fede, e che escano dal cuore della Chiesa nuovi e umili discepoli del Cristo, anime vibranti di fede, i facchini di Dio, i seminatori della fede! E dev'essere una fede applicata alla vita. Ci vuole spirito di fede, ardore di fede, slancio di fede; fede di amore, carità di fede, sacrificio di fede" (La scelta dei poveri..., p.220-221).
Santi non vuol dire "perfetti" in questa vita, ma "uniti a Colui che è il Santo", che è il perfetto. Se noi non siamo santi con la perfezione, possiamo essere santi con la grazia di Dio, se la chiediamo con l'umiltà, il pentimento e il desiderio sincero.
"Dovete mettervi sulla via della santità. Solo così potete essere segno di Dio nel mondo. In un mondo angosciato e oppresso da tanti problemi, che tende al pessimismo, l'annunziatore della 'buona novella' deve essere un uomo che ha trovato in Cristo la vera speranza" (Redemptoris missio, 91).
Laici alla frontiera con la santità perché altrimenti tutto è inutile... Se non siamo uniti al Signore, siamo senza armi. Non abbiamo parole da dire, anzi ci vergogneremo di parlare. Comunque, non aspettiamo ad essere perfetti; possiamo avere subito quella perfezione che ci viene dal perdono di Dio e dalla nostra sincerità e umiltà di cuore.
... CON LA CHIESA
Laici alla frontiera con la Chiesa. Non siamo dei soldati di ventura solitari; facciamo parte di quel Corpo, animato dalla vita di Cristo, che è la Chiesa. Guai a essere isolati! Siamo da soli, là nel nostro ambiente, ma il nostro cuore e anche i nostri rifornimenti stanno in questa compagnia che è la Chiesa.
"Cristo ha dotato la sua Chiesa, suo corpo, della pienezza dei beni e dei mezzi della salvezza; lo Spirito Santo dimora in essa, la vivifica con i suoi doni e carismi, la santifica e rinnova continuamente" (Redemptoris missio, 18).
Non si può essere cristiani senza Chiesa. Oggi, per essere vivi nel mondo, senza essere del mondo o aver paura del mondo, occorre essere vivi nella Chiesa. Una forte domanda di missionarietà comporta una forte domanda di ecclesialità. A volte, nell'impegno cristiano si parte con buona volontà e poi di fronte a delusioni, o anche a scandali, o anche alle proprie miserie ci si blocca. Occorre rifarsi in continuazione alle sorgenti della vita e della santità perché le nostre risorse si esauriscono presto: le sorgenti sono Cristo, la Chiesa, i sacramenti, la preghiera.
"Solo un amore profondo per la Chiesa può sostenere lo zelo del missionario... La fedeltà a Cristo non può essere separata dalla fedeltà alla sua Chiesa" (Redemptoris missio, n.90).
Don Orione, nell'ultima "Buona notte" a Tortona, tre giorni prima di morire, raccomandò quasi come testamento
"di stare e di vivere sempre umili e piccoli ai piedi della Chiesa e dei Vescovi... E non vi dico del Papa perché quando si dice dei Vescovi, a fortiori si dice del Papa che è il Vescovo dei Vescovi, il dolce Cristo in terra" (Parola 12, 136).
Sempre Don Orione scriveva ad un suo amico laico, il conte Zileri Dal Verme, il 24.1.1911:
"Io sento un grande bisogno che in Italia si faccia qualcosa di più per il Papa... è inutile farci illusioni: vi è una congiura di discredito e di alienamento degli animi contro contro la Santa Sede, e anche dai buoni si ha una specie di rispetto umano a dimostrarsi schiettamente papali. Facciamo una lega di fedeltà, che accetti e difenda non solo intero il deposito della fede, ma gli atti e le direttive della Santa Sede, senza reticenze, senza piagnistei!... Saremo pochi, ma fa nulla: il Signore sarà con noi e, col suo divino aiuto, qualche cosa potremo fare per la Chiesa in Italia; se non altro daremo conforto al cuore del Papa..." (Summarium, p.976).
Laici orionini alla frontierà con la Chiesa, con il Papa!
... CON LA CARITA'
La terza indicazione la prendiamo dal "Piano pastorale per gli anni '90" dei Vescovi italiani. Ci vien detta una parola tanto evangelica e tanto orionina. Don Orione l'ha vissuta come sua intuizione particolare: laici alla frontiera con la carità.
Per "carità" intendiamo l'amore di Dio per noi e il nostro amore per Dio; e intendiamo la nostra solidarietà, l'ascolto, l'accoglienza, la condivisione, la giustizia, il perdono, il sacrificio gratuito, la misericordia, cioè, l'amore per il prossimo anche nelle sue miserie e proprio per le sue miserie.
Al riguardo ci sarebbe solo da aprire qualche pagina di Don Orione per sentire come lui indicava questa "strategia della carità" per portare i piccoli, i poveri, il popolo alla Chiesa e al Papa per "instaurare omnia in Christo".
Sulla bacheca della Casa madre di Tortona, il 6 gennaio 1938, Don Orione espose questo appunto:
"Epifania: Manifestazione del Signore. Figli della Divina Provvidenza, non è l'ora che una nuova grande epifania sveli Gesù Cristo ai popoli, così traviati e stanchi della nostra età? Ma chi andrà agli umili del popolo? Chi si getterà a portare Cristo tra le più umili classi lavoratrici? Chi, nella Chiesa e benedetto dalla Chiesa, andrà ai più poveri, ai più abbandonati, ai più infelici? Chi di noi non si chinerà sui più sofferenti dei nostri fratelli, perché i più derelitti, i più reietti e forse i più sfruttati, i più traditi? Ma alle anime, al popolo come sveleremo Cristo? Con la carità! Come faremo amare Cristo? Con la carità! Come salveremo noi, i fratelli e i popoli? Con la carità! Con la carità che si fa olocausto, ma che tutto vince, con la carità che unifica e instaura ogni cosa in Cristo!" (Summarium, 1021).
Non contento di un'opera più amministrativa che caritativa, Don Orione scrive a Don Adaglio in Palestina (19.3.1923):
"Bisogna che su ogni nostro passo si crei e fiorisca un'opera di fraternità, di umanità, di carità purissima e santissima, degna di figli della Chiesa, nata e sgorgata dal Cuore di Gesù; opere di cuore e di carità ci vogliono. E tutti vi crederanno. La carità apre gli occhi alla fede e riscalda i cuori di amore verso Dio. Gesù è venuto con la carità..." (Scritti 4,280).
Don Orione constatava che "la carità è la migliore apologia della fede cattolica" e, pertanto, insisteva con i suoi figli spirituali: "come guarire l'incredulità moderna? col fuoco della carità" (Scritti 79,327), "la nostra predica è la carità... la nostra politica è la carità" (Scritti 57,42), "la causa di Cristo e della sua Chiesa non si serve che con una grande carità di vita e di opere" (Scritti 20,77), "solo la carità salverà il mondo" (Scritti 9,28).
"Laici alla frontiera con la carità", perché la carità apre gli occhi della fede: questa è una indicazione forte che ci viene dallo spirito di Don Orione. Ma, sappiamo, è quello che ha fatto Gesù: egli ha annunciato il Regno con la parola, ma prima ancora compiendo le opere della misericordia, della carità. E quando Giovanni Battista e i suoi discepoli vollero sapere se era arrivato il Regno di Dio, Gesù rispose: "andate e riferite: i ciechi vedono, gli storpi camminano, ai poveri è annunciata la buona novella" (Mt 11,2-6).
"La verità cristiana non è una teoria astratta. E' anzitutto la persona vivente del Signore Gesù (cfr. Gv 14,6), che vive risorto in mezzo ai suoi (cfr. Mt 18,20; Lc 24,13-35). Può quindi essere accolta, compresa e comunicata solo all'interno di un'esperienza umana integrale, personale e comunitaria, concreta e pratica, nella quale la consapevolezza della verità trovi riscontro nell'autenticità della vita. Questa esperienza ha un volto preciso, antico e sempre nuovo: il volto dell'amore. Sempre e per natura sua la carità sta al centro del Vangelo e costituisce il grande segno che induce a credere al Vangelo.
La 'nuova evangelizzazione', a cui Giovanni Paolo II chiama con insistenza la Chiesa, consiste anzitutto nell'accompagnare chi viene toccato dalla testimonianza dell'amore a percorrere l'itinerario che conduce, non arbitrariamente ma per logica interna dello stesso amore cristiano, alla confessione esplicita della fede e all'appartenenza piena alla Chiesa" (Evangelizzazione e testimonianza della carità, 9-10).
La carità è in se stessa annuncio di Dio. Non è solo la conseguenza di vita di una persona che ha fede - anche, perché occorre essere nell'amore di Dio e nella fede per vivere con tenacia la gratuità, la carità -, ma la carità è in se stessa annuncio di Vangelo, perché Dio è carità. Quando io compio carità rendo presente il Signore che è carità.
I vescovi italiani parlano del "Vangelo della carità". Non occorrono aule od orari per fare questa lezione. La "carità come via alla Chiesa e a Cristo" è stata l'esperienza di Don Orione ed è la via apostolica che noi orionini siamo chiamati a vivere sempre di più, con coerenza. Dove la gente vede la carità vissuta, sia con forme personali, nascoste, sia con grandi istituzioni, lì la gente pensa a Dio, lì si aprono gli occhi alla fede, nascono interrogativi, si trovano indizi di risposta, lì si muove all'incontro col Signore, col Sacerdote, con la Chiesa.
Laici alla frontiera con la santità, con la Chiesa, con la carità.
LAICI CONSACRATI
La vita cristiana di laici alla frontiera non toglie spazio alle altre realtà quotidiane, ma dà un'"anima". Per quest'opera di evangelizzazione non occorre svolgere attività speciali, ma occorre fare il proprio lavoro "da laici" e "da santi", cioè con il Signore, con la Chiesa, con la carità.
A conclusione di questa riflessione, che riguarda tutti i laici cristiani, voglio accennare ad una forma speciale di essere "consacrati a Cristo e alla Chiesa" da laici.
Consacrati lo siamo tutti, per il battesimo e la cresima.
Per i preti e le suore c'è un modo speciale di essere "consacrati alla frontiera": vivono in comunità, con istituzioni e attività pubbliche. Nella Chiesa, però, da circa quarant'an¬ni, è stata promossa anche una forma di speciale consacrazione laicale, di laici consacrati con voti, che vivono nel loro ambiente, che non si separano dal mondo come fanno i religiosi o le suore. Restano nel loro ambiente, però vivendo la stessa intimità con Dio, con la Chiesa e per il mondo.
Si chiama consacrazione laicale secolare; "laicale" perché restano laici, cioè non diventano né frati, né suore, né preti; "secolare", perché non si ritirano fuori dalle realtà di questo mondo, di questo "secolo". Non fanno opere proprie in una istituzione, in una comunità, in un convento, restano nella propria casa, nel proprio lavoro.
"I membri laici, nel mondo e dal di dentro del mondo, partecipano della funzione evangelizzatrice della Chiesa sia mediante la testimonianza della vita cristiana e di fedeltà alla propria consacrazione, sia attraverso l'aiuto che danno perché le realtà temporali siano ordinate secondo Dio e il mondo sia vivificato dalla forza del Vangelo. Essi offrono inoltre la propria collaborazione per il servizio della comunità ecclesiale, secondo lo stile di vita secolare loro proprio" (Canone 713).
Anche nella Congregazione di Don Orione c'è questa forma di consacrazione laicale e secolare, approvata dalla Chiesa e regolata da uno Statuto.
La vita consacrata laicale secolare viene vissuta in un "Istituto", che non vuol dire in una casa, ma in una comunità di persone consacrate, legate tra di loro e con il Signore e con la Chiesa. Il far parte di un Istituto di consacrazione aiuta a sostenere e rinnovare la propria scelta perché è molto facile perdere quella grinta apostolica e quella grinta di santità (quel "sale") che servono per una missione di frontiera laicale.
Il condividere lo stesso spirito orionino, la Regola di vita, gli incontri formativi, i ritiri, la fraternità e altri mezzi spirituali aiutano a camminare nella fedeltà e a tener vivo il proprio amore consacrato.
Chi si consacra fa dono totale di sé al Signore Gesù che ha compiuto la sua missione di incarnazione, passione, morte e resurrezione, per riconsacrare il mondo al Padre. Chi si consacra vive strettamente unito con la Chiesa e cerca di compiere la propria piccola parte per ridonare il mondo al Padre e per ridonare il Padre al mondo, sapendo che, come diceva Don Orione:
CONSACRATE LAICHE ORIONINE
Art. 4 Già consacrate a Dio ed inserite nel Corpo Mistico in forza del Battesimo e della Cresima intendono, in risposta alla loro particolare chiamata, dono di Dio, fare una radicale e definitiva scelta di vita, professando nel mondo la perfezione cristiana dei Consigli Evangelici (povertà, castità, obbedienza) avvalendosi però della loro professione, attività e dei luoghi e delle circostanze rispondenti alla loro secolarità.
Art. 5 Nelle cose del mondo conservano una forma di vita simile a quella degli altri fedeli, secondo la condizione propria di ciascuno. Per la consacrata la secolarità è una presenza di vita consacrata cosciente ed operante nel mondo e nel suo interno, per essere in esso veramente un lievito per il ringiovanimento e la crescita del Corpo Mistico del Regno di Dio.
Art. 24 L'impegno apostolico delle consacrate ha il suo fondamento nella vocazione cristiana che le fa membri del Corpo Mistico di Cristo ed è sanzionato e rafforzato dalla loro appartenenza al Movimento, attraverso la consacrazione.
(Dallo "Statuto")
Don Flavio Peloso con la già Responsabile generale Itala Colombo