Prendere su di sé le sofferenze dell’altro- divenendo altri Messia
I 2 INNI CRISTOLOGICI: Fil 2, 3-11 ; 1Pt2, 21-25 narrano la postura relazionale di Dio in Cristo, ci dicono come sono le relazioni in Dio e come Dio le pone nei confronti degli uomini.
Il testo di Rm 8,19 , poi sottolinea come l’ardente aspettativa della creazione ( ossia la vita concreta della gente con i suoi sconvolgimenti) è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio: “la creazione aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio”
C’è un travaglio , un gemito ed il Messia è colui che fa suo questo travaglio, questo gemito dell’uomo
Parafrasando 2Cor 5,14-21, possiamo affermare che di fronte a questo travaglio dell’umanità, l'amore del Cristo deve spingerci a non vivere più per noi stessi, ma “per colui che è morto e risuscitato” per noi e a custodire il ministero della riconciliazione che ci è stato affidato.
Quando Paolo parla di “ RICONCILAZIONE “ intende parlare del “MINISTERO DELLO SCAMBIO”. Scambio in quanto Gesù da ricco si fece povero, da Dio si fece uomo…ci ha scambiati e con il ministero dello scambio ci ha consegnato un modo “particolare” di assumere le relazioni, quello di “prendere su di noi” . Gesù ha preso su di sé il nostro peccato, anzi si è fatto peccato.
La concezione di Messia e quella del Messia sofferente apre la strada ad una visione umana dove la libertà del soggetto non è l’affermazione del proprio “io” bensì la “responsabilità di farsi carico dell’altro”. Dobbiamo riappropriarci della nostra messianicità e del titolo di cristiani che portiamo .
Direbbe Levinas : “Non l’
Secondo questa logica si è svolta la vita di Luigi Orione che ha fatto sue le sofferenze dell’altro .
Per Levinas il Messia è colui che prende su di sé le sofferenze dell’altro rendendone possibile la sopravvivenza.
E’ colui che “arrischia” la vita, colui che si avvicina a me; è il re che non comanda più dal di fuori, ma si abbassa, diventa peccato, si “chenotizza”, il Giusto che soffre e prende su di sé la sofferenza dell’altro. Levinas arriva a dire “Sono io il Messia” nella misura in cui prende su di sé la fatica dell’altro.
E’ qui il ministero dello SCAMBIO che ci è stato affidato. Bisogna sempre partire dall’altro (cfr Is 61 – Lc 4) Stiamo dimenticando il modo in cui Gesù è Messia e il modo in cui ci viene chiesto di essere dietro a Lui messianici. Ognuno di noi deve agire come se fosse il Messia. Essere io è essere Messia. Esserci per l’altro. Dio lo incontriamo nell’esser-ci- per- altri di Gesù
Paolo, parlando dello scambio tra la divinità e l’umanità, ci dice che il vero cristianesimo è dove viene realizzato il ministero dello scambio, della riconciliazione, dove l’altro è assunto nella sua estrema diversità.
(cfr Rm 8, 17) Il cristianesimo è una visione della storia riscattata dal maligno, è un prendere parte al travaglio della storia: ecco perchè ci indigniamo se dei naufraghi vengono lasciati morire in mare, ci indigniamo e portiamo su di noi, e facciamo nostro quel travaglio.
Turoldo ci direbbe: “Io non sono ancora il Cristo e non sono ancora uomo ma sono questa infinita possibilità”
Scopo del cristianesimo non è altro che la trasfigurazione della persona in Cristo.
Turoldo parlando di Cristo così si esprime: “Sei il fuoco che mi divora, sei il mio ininterrotto rimorso ma allo stesso tempo, sei la mia folle gioia, Figlio di Dio. Impossibile amarti impunemente.”
Mons. Lorefice con queste sue meditazioni ci sta conducendo a fare “teologia della compassione”. Dove per teologia si intende il sintonizzarsi su quello che Dio dice su di sé, una sintonizzazione che ci chiede umiltà. E dove per “compassione” si intende l’assimilazione dei sentimenti di Gesù, “roba” tutt’altro che semplice .
In questi giorni di grazia, Dio ci ha fatto entrare nelle sue viscere. La “teologia della compassione” ci sta riconsegnando un’etica della sensibilità e un’etica messianica: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono di Cristo Gesù”. Quel Cristo che ci chiede di “dare noi stessi da mangiare alla folla”, che “spezzando fa crescere e distribuendo moltiplica”.
(Alda Merini)