Bartimeo grida. Il grido è l’unica arma che possiede. Anche noi abbiamo nel grido l’unica arma. La Bibbia è attraversata da tanti gridi. Ad esempio, gli Israeliti (Es 2), nel tempo della schiavitù in Egitto gridano e Dio risponde: “Ho sentito, scenderò e libererò il mio popolo”.
Bisogna notare che c’è una grande differenza tra il gridare ed il parlare, poiché mentre il parlare presuppone la presenza di un interlocutore, di un tu, il gridare è più profondo, perché è la fiducia in una “relazione che non è ancora”. Si grida nella fiducia, nella speranza che qualcuno ascolterà.
Ora la fede ha proprio questa connotazione: è un grido ed è la nostra arma.
Bartimeo grida e il suo dolore di essere marginalizzato è proprio incontenibile. Molti lo rimproverano perché taccia; essi sono infastiditi da quella debolezza, di più, hanno paura del limite. Bartimeo, invece, assume quel suo limite e lo vede come occasione di salvezza.
Attraversiamo noi tutti, un’epoca in cui si esaltano il “privato” e il “nascondimento”. Sembra quasi di sentire risuonare un monito: “Non far vedere il tuo dolore” e, alla fine, succede che nessuno condivide il proprio disagio. Siamo parte di una stessa famiglia, di una stessa comunità, di uno stesso Istituto ma ognuno rimane chiuso nel suo mondo. Il risultato è che siamo tutti stanchi e ammalati.
Cosa ci insegna, dunque, la storia di Bartimeo?
Che dobbiamo imparare a guardare il mondo non dal centro, non dal potere, non dal prestigio ma dalla debolezza, dalla fragilità. Don Orione docet: “Se qualcuno bussa alla porta non chiedergli da dove proviene ma solo che disagio ha”!
Quelli che vorrebbero far tacere Bartimeo sono coloro che guardano la realtà dal centro, dalla prospettiva della potenza. E’ questa la fatica che fa oggi Papa Francesco che non smette di urlare che bisogna guardare dalla debolezza, dalla fragilità, dall’impotenza.
E Bartimeo “gridava ancora più forte”. Ma Dio non è sordo e ha una preferenza sfacciata per il povero. Così Gesù esclama: “Chiamatelo!” Si interessa di lui. Si instaura, quindi, un rapporto empatico. Spesso nelle nostre comunità, nei nostri luoghi di lavoro manca proprio la capacità e la voglia di mettersi nei panni dell’altro, manca l'empatia..
Gesù invece si ferma e dice a Bartimeo: “Ho tempo per te”. Infrange così il muro dell’indifferenza, spezzando un altro automatismo quello del “vedere senza vedere”
Il nostro Dio è, dunque, il Dio che ha tempo per me! E che … chiama. Chiama Bartimeo, chiama ciascuno di noi: “Cosa vuoi che io faccia per te?”
E noi, con Bartimeo, possiamo rispondere: “Che io veda di nuovo, Signore”
Sì il nostro sguardo deve essere guarito. Scrive Franco Armeni: “Vedo ogni cosa come bella e se bella non è vuol dire che devo guardare meglio[1]”. Occorre sbriciolare un ulteriore automatismo, che possiamo definire l’automatismo “dell’analfabetismo emozionale”.
Il brano in cui l’evangelista Marco racconta la guarigione del cieco di Gerico inizia affermando che Bartimeo era “sulla strada” a mendicare e termina affermando che il cieco recuperò la vista e seguì Gesù “sulla strada”: Bartimeo sta sempre “sulla strada” ma in modo diverso, con uno sguardo diverso, con uno sguardo guarito e salvato.
Infatti Bartimeo, alla fine, si riconosce come una missione perché è uno che si riconcilia con il suo limite, e lo abbraccia.
Scrive Papa Francesco nell’Evangeli Gaudium (273): “Io sono una missione su questa terra e per questo mi trovo in questo mondo. Bisogna riconoscere se stessi come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, sollevare, guarire, liberare”.
Spezzati tutti i succitati automatismi andiamo nel mondo con la consapevolezza che siamo una missione e essa consiste nell’illuminare, benedire, sollevare, guarire, liberare.
[1] La cura dello sguardo – F Armeni