- L’automatismo della “colpevolizzazione”: se una cosa non funziona deve esserci obbligatoriamente un colpevole; e se il colpevole non c’è bisogna assolutamente trovarlo
- L’automatismo della “rimozione”: le cose faticose bisogna rimuoverle
- L’automatismo dell’”addossare” tutto sull’altro
- L’automatismo della parola “ormai…”, che uccide il cambiamento
- L’automatismo della “normalità uccide”: per cui si può essere felici fuori dal proprio ambito ordinario (comunità, famiglia…) e si scappa dal contesto normale di vita. Si pensa che accontentarsi di quello che si ha possa farci morire. E’ un dato di fatto che non siamo più capaci di vivere le cose, piuttosto li fotografiamo, li filmiamo per viverle in un secondo momento. (Come accade, ad esempio, a chi partecipando ad una festa, preso dalla frenesia di immortalare partecipanti o luoghi, non ascolta una sola parola e, di più, resta fuori dalla gioia che in quel momento si sta sperimentando)
- L’automatismo della “supposizione”: torna tardi la sera … ha una storia galante; e così non si riesce più a cogliere la bellezza dell’altro, che è bello “in sé”.
- L’automatismo del “culto della perfezione”: non accettiamo di essere imperfetti.
- L’automatismo della “scontentezza”: ci lamentiamo per il poco che ci manca e gustiamo poco il molto che abbiamo ricevuto.
- L’automatismo della “proporzionalità”: ho dato e quindi devo ricevere altrettanto
Lo “sguardo del Regno” ci dà scossoni, ci spiazza ma , al tempo stesso ci guarisce e ci arricchisce.
Cambiare lo sguardo, convertire il nostro sguardo è imparare a dare un nome alle situazioni che viviamo, mettersi in gioco, lasciarsi illuminare dal Vangelo e … VIVERE. Dio non smette di attraversare la nostra vita, e di compiere gesti concreti, così come la Bibbia ci indica. Gesù incontra, piange, si commuove, accarezza, tocca, si ritira, incontra.
Ora c’è un incontro, tra gli altri, che la dice lunga sul modo in cui Gesù si pone e si propone anche nella nostra biografia personale. E’ l’incontro con la donna samaritana al pozzo di Sicar. (Gv 4, 4-34)
Accade anche a noi, come alla Samaritana, di essere preceduti dal Signore presso il “pozzo” presso il quale ci troviamo. Il punto di svolta per il nostro cammino è , però, identificare, dare un nome, al “pozzo” (alla situazione di vita) presso cui ci troviamo.
Dio ci precede sempre, ed è lì ad aspettarci. Il testo giovanneo riporta che Gesù “doveva passare…”: questa espressione dice il disegno, il desiderio di Dio di fare “accadere quell’incontro”
Ed è un preparare un “incontro di seduzione”, a prescindere dall’aspetto più o meno accattivante che la donna, che la persona umana, possa avere. Già, Dio ci incontra nella vita così come siamo.
Forse, però, un Dio così umano, a volte, ci spaventa!
Inizia il dialogo ed è il Signore a prendere l’iniziativa: “Dammi da bere…” Gesù sa bene come impostare la conversazione perché è uno che sa ascoltare. Noi invece siamo affetti da una sorta di “autismo ecclesiale”: non sappiamo o non vogliamo ascoltare più.
“Dammi da bere” dice avanzando una pretesa. E così Gesù fa con ogni uomo: “Dammi …”. Ma bisogna saper capire quale pretesa ha per me, riconoscerla e accoglierla. Il rischio è quello di non accettare di iniziare il dialogo per paura delle sorprese che quella pretesa può generare.
Sì quella pretesa di Gesù è certamente una sorpresa che obbliga a “spostare”, a cambiare lo sguardo.
Ad un certo punto Gesù chiede alla Samaritana : “Dov’è tuo marito?” La donna, con verità, accetta di mettersi in gioco e arriva ad esclamare: “Dammi di quest’acqua”.
E noi desideriamo quell’acqua? Noi cosa desideriamo in profondità? C’è spesso un’assenza di desideri e questo blocca la creatività. San Luigi Orione , al contrario, aveva numerosi e grandi desideri : “Instaurare omnia in Christo”, aveva progetti folli.
“Dammi di quest’acqua”: la Samaritana accetta di aprire uno spazio della sua vita: “Non ho mariti…” Ed è in questa sua disponibilità a lasciare entrare Gesù che crea un varco di luce.
Dio entra nella totalità della nostra vita quando gli apriamo, con verità, la nostra vita, quando gli diamo il permesso di convertire il nostro sguardo. Ma… bisogna fidarsi.
Un ostacolo al nostro fidarci sono proprio quegli automatismi, interiorizzati, che ci portano a confondere la realtà con il nostro modo di rapportarci con la realtà.
Lasciamoci convertire lo sguardo e il Signore potrà rivolgere anche a noi la sua parola: “Sono io che parlo con te”